Olivia Buchli, Febe Tognina May 2022
Dal Ticino alla capitale svizzera, tra azione sociale e politica. E più in particolare, dall’attivismo nel collettivo femminista della Reitschule di Berna alla vita di tutti i giorni, passando per gli ideali della vita quotidiana e le sfide dei collettivi di ieri, oggi e domani.
Conosco Olivia da qualche anno, siamo amiche, ticines* ritrovatesi Oltralpe. Le occasioni della vita ci hanno portate ad incontrarci nella città di Berna. Vi invito ora a leggere quello che Olivia mi ha raccontato durante l’intervista che le ho fatto, quello che segue è la comprensione di Febe, su quello che Olivia ha risposto e raccontato.
Olivia è una persona interessata, attenta e attiva. Gli studi che ha intrapreso suggeriscono un interesse per la natura e le attività all’aria aperta. Ha iniziato il suo percorso universitario a Zurigo, studiando scienze della terra, nel 2015 ha però deciso di cambiare strada e iniziare un bachelor – e successivamente un master – in geografia, accompagnandolo da una minor in studi di genere all’università di Berna. La motivazione principale di questo cambiamento? Strada facendo si è politicizzata e questa presa di coscienza riguardo alle diverse e molteplici situazioni problematiche nella nostra società l’ha spinta a interessarsi a materie che potessero aiutarla a comprendere meglio la realtà che ci circonda.
L’attivismo femminista
Qual’è la prima azione politica?
Uno dei primi ricordi di Olivia legato ad un’azione politica risale ad un periodo di lavoro estivo in una capanna sulle montagne ticinesi. In quell’occasione, decise di sostituire la bandiera svizzera che si trovava in cima ad un palo, simbolo indiscusso dedicato alla memoria dell’appartenenza confederata della regione e il sentimento patriottico tipico delle cascine di montagna, con una bandiera della pace. L’azione durò poco, il tempo che le persone responsabili della capanna se ne accorsero e la bandiera svizzera tornò a sventolare al suo posto, non sia mai che dal basso qualcuno interpretasse questo inconsueto messaggio come un tradimento alla bandiera rossocrociata.
Ho capito che per Olivia questo gesto ha un forte significato legato alla presa di posizione e alla condivisione di una convinzione diversa da quella convenzionale e tradizionale. Questa attitudine è parte integrante della sua vita.
La tua politicizzazione ha portato a delle attitudini diverse da parte delle persone con cui interagisci?
Olivia ha notato che dall’esterno, la sua attitudine di no-go verso le situazioni problematiche, viene a volte interpretato o inteso come una radicalizzazione. Io (Febe) me lo spiego in questo modo: credo che, poiché lei si oppone ad una realtà quasi sempre accettata dalla maggior parte delle persone, smuove lo status quo dando fastidio a coloro che lo avevano accettato. Nonostante ciò, per Olivia non c’è altra soluzione e nessun modo di tornare indietro, poiché una volta riconosciuta la realtà, non è più possibile ignorarla. Per lei una realtà indiscutibile che nel nostro mondo ad essere oppresse e sfruttate sono sempre le stesse persone, o meglio, lo stesso gruppo di persone. Questo modo di porsi verso le realtà scomode tipico di chi non vuole negare questa verità, senza temerle ma affrontandole e guardandole per quello che sono, permette ad altre persone di comprendere temi e questioni che prima non erano visibili. Essere politicizzata e mostrarlo attivamente nella vita quotidiana è per Olivia anche un modo per sensibilizzare le persone che le stanno vicino.
Come ti sei avvicinata al mondo dell’attivismo?
Olivia non si definisce come una militante ma afferma di fare “dell’attivismo politico”.
Al suo arrivo a Berna, è da subito entrata in contatto con la Reitschule ed il collettivo femminista del Frauenraum. Non le bastava più usufruire degli spazi e partecipare alle attività organizzate da un collettivo, ma ha voluto da subito attivarsi e diventare membro.
È proprio vero, come si usa dire, che attivist* si diventa!
Olivia mi racconta che il processo di politicizzazione le ha permesso di rendersi conto delle ingiustizie e di quello che non funziona nella società nella quale viviamo. Mi racconta che ha cominciato a chiamare le ingiustizie quotidiane per nome e a dire ad alta voce quando le situazioni non funzionano o sono sbagliate: “come ti tratta quella persona non va bene” e “quello che dice quella persona non è accettabile”. La verbalizzazione in questo contesto è fondamentale sottolinea Olivia, perché permette di aprire gli occhi e far capire e riflettere maggiormente sulla realtà della situazione.
Olivia ha constatato che fortunatamente le soluzioni ai problemi e alle ingiustizie di genere esistono e si possono mettere in pratica. Essere attiva le ha dato gli strumenti e la possibilità di reagire.
Che cos’è il femminismo?
“Sono femminista”, avrebbe affermato Olivia già all’età di 15 anni, in risposta a chiunque glielo avesse chiesto. “Sono cresciuta in un ambiente critico, di sinistra” mi dice. Eppure, sebbene sua mamma si definisse femminista, lei non si era mai preoccupata di capire i problemi che il movimento indicava come tali, non si era mai posta la domanda su come riconoscerli, chi li causasse e ancor meno come risolverli. Tutto questo, riconosce di averlo imparato a Berna. È allora che ha iniziato a capire l’importanza e la necessità della lotta e del pensiero femminista.
Poi sorride e mi dice “Oggi invece, domanderei a te che cos’è per te il femminismo? Perché ogni persona ha una sua definizione propria, non ne esiste una sola”. Per Olivia, il femminismo si applica a tutti i temi, per lei essere femminista non ha limiti spaziali, tematici o temporali. L’approccio femminista lo si può applicare ovunque poiché significa credere in un mondo nel quale tutte le persone sono uguali e dove ci sia più parità, un po’ più di sensibilità in tutti i contesti della vita e capacità di dire le cose che non vanno bene.
Che cosa si intende per messa in pratica del femminismo?
“Il privato è politico” afferma Olivia, e una buona attitudine attivista la si riconosce nella vita di tutti i giorni perché non ne può fare a meno, in nessun ambito della vita, non è e non dovrebbe essere una componente opzionale.
È con questa idea che la lotta per i diritti umani si rispecchia anche nella vita quotidiana di Olivia. Per esempio, quando fa la spesa i suoi acquisti riflettono i suoi ideali di rispetto della persona e del lavoro e quindi di non sfruttamento. Scegliere tramite i propri acquisti quale sistema sostenere è un modo per essere femminista poiché anche in questo caso coloro che vengono maggiormente sfruttate sono le donne*. Olivia conclude risoluta che per lei è impossibile dimenticare, mettere da parte e non agire quotidianamente in linea con i propri ideali, fare altrimenti le sembrerebbe venire meno ai suoi principi.
Frauenraum, il collettivo femminista della Reitschule a Berna
Come si mette in pratica il femminismo all’interno del collettivo della Reitschule?
Il Frauenraum è la sede del collettivo femminista bernese, si trova all’interno della Reitschule, centro autogestito culturale della città di Berna. Dalla sua creazione nel 1992, il collettivo è gestito da persone TINFA (trans, intersessuali, non-binarie, donne*, a-gender) e propone tra gli altri eventi, la Frauen_Disco. La particolarità di questo evento è che, per una volta al mese, le porte di questo spazio comune non sono aperte per chiunque, infatti gli uomini cis ne sono esclusi (gli uomini cis sono uomini per i quali la loro identità di genere corrisponde al sesso biologico attribuito alla nascita). Lo spazio delle donne* nella società come anche alla Reitschule non è assicurato, e ci sono sempre ancora persone che mettono in dubbio il diritto del collettivo di prendersi uno spazio solo per loro. Creare uno spazio e un momento dove gli uomini cis sono esclusi serve a mettere in evidenza la differenza delle categorie di genere nella nostra società: un uomo può andare praticamente sempre ovunque, la realtà delle donne* è ben diversa. Per Olivia e per l’intero collettivo questo evento permette da una parte di creare uno safer space dove le dinamiche tipiche della società patriarcale non possono avere la possibilità di essere riprodotte; dall’altra parte, questo evento è riconosciuto come un atto politico poiché prendendosi lo spazio, il collettivo sottolinea il fatto che nel mondo di tutti i giorni quelle escluse sono proprio loro, le donne*. La Frauen_Disco guadagna così anche una certa visibilità che permette alla situazione problematica di essere percepita in modo diretto.
Perché essere membro di un collettivo femminista?
Olivia mi dice che in quanto membro del collettivo ha imparato tanto, perché è “una scuola di vita”. A livello tecnico ha imparato per esempio come funziona la tecnica del suono e delle luci e come organizzare un concerto per 300 persone. Inoltre, l’essere tra donne* le ha dato il coraggio di provare a mettersi in gioco in modo diverso, poiché si sentiva liberata dalla pressione del sistema patriarcale che si trova nella nostra società a tutti i livelli e in tutte le situazioni. Commenti come “la tecnica non fa per te” non esistono nel Fraunraum, c’è sempre una persona che ti aiuta ma sei tu che impari a fare le cose. Nulla viene insegnato “dall’alto”, ma si tratta di un apprendimento nell’azione, nel vivere. Diventa quindi naturale fare tutto ed essere capace a fare tutto, crederci e quindi riuscirci, perché le cose le si fanno e basta. Questa attitudine ha permesso ad Olivia di imparare a conoscersi meglio, sé stessa e le sue capacità. Ha imparato ad avere a che fare con qualcuno che sta male durante una festa, oppure con delle persone aggressive o violente, come dialogare in modo costruttivo, come ascoltare e come riconoscere le situazioni.
È questo un modello applicabile al mondo esterno?
Olivia mi spiega che un progetto come un collettivo, regolato con un sistema di democrazia di base e non sul modello democratico, domanda un investimento di tempo elevato. “Ora votiamo, su’ le mani” è un processo veloce; invece, nella democrazia di base l’idea è quella di prendersi il tempo ed ascoltare tutt*.
Il centro di un collettivo, in particolare questo, è l’organizzazione e cioè le decisioni che bisogna prendere insieme. Queste vengono prese non attraverso una votazione democratica ma per consenso, ciò che porta automaticamente a sviluppare qualità come la discussione, l’ascolto e la gestione di conflitti. L’idea è che tutte le partecipant* siano uguali, quello che dice Olivia ha lo stesso valore di quello che dice chiunque altra persona. In altri ambienti, dove la struttura gerarchica è presente e fondamentale, le persone vengono suddivise secondo un valore diverso e in funzione del loro ruolo. Il sistema proposto da un collettivo invece ha il vantaggio di attirare persone molto diverse perché dà la possibilità di apportare il proprio contributo, indifferentemente dallo statuto sociale.
Quali sono le sfide per un collettivo come quello del Frauenraum?
Olivia mi confida che il lavoro di un attivista in un collettivo è molto impegnativo poiché richiede del tempo.
Oltre al mantenimento delle strutture e l’organizzazione di eventi, tutto si discute al Frauenraum, fino ai più piccolo dettaglio, dal tipo di birra venduta al bar fino all’acquisto di materiale tecnico. Ci vuole il consenso assoluto, unanime, e per questo ci vogliono delle ore; quindi, si parla per ore. Oltretutto, sono discussioni che si ripetono ciclicamente, perché il collettivo cambia sempre, non è fisso ma dinamico. Ogni persona nuova potenzialmente fa ricominciare le discussioni da capo, ciò è stancante ma è anche molto interessante. Imparare a discutere è fondamentale, capire fino a quando un progetto va bene e dove deve essere cambiato per far si che sia accettato, e ovviamente accettare che venga cambiato.
Cosa succede quando il collettivo esce dagli spazi del Frauenraum?
Quando c’è tempo a sufficienza e persone motivate, Olivia e il collettivo femminista della Reitschule organizzano eventi per un pubblico più ampio, invitando un collettivo di un’altra città o un gruppo particolare che ha un messaggio da condividere e promuovere (per esempio riguardo la crisi umanitaria nella zona del Mediterraneo). Questi eventi sono più visibili, sono seguito da fuori il portone della Reitschule, e attirano gente, permettendo di promuovere gli ideali femministi in cui Olivia crede.
Inoltre, il collettivo femminista prende anche parte attivamente a manifestazioni, quali per esempio lo sciopero femminista.
Manifestazioni a Berna, manifestazioni in Ticino: due mondi a confronto
Essere attivista per Olivia non significa solamente essere membro attiva del collettivo femminista della Reitschule, ma anche partecipare a delle manifestazioni, sia in Ticino che nella città di Berna.
Come funzionano le manifestazioni e la loro organizzazione?
Le manifestazioni sono organizzate da persone che spesso danno delle linee guida sul comportamento da avere durante l’azione, in modo che la manifestazione sia accessibile a chiunque. Ci sono diverse forme di manifestare qualsiasi emozione la questione dibattuta suscita nelle e nei partecipant*, secondo Olivia le diverse forme di lotta dovrebbero essere sostenute. Per Olivia, durante le manifestazioni, è fondamentale lasciare la libertà di esprimere la frustrazione per la situazione nel modo che più ritengono corretto. Non c’è una forma giusta e una sbagliata. A Olivia piace la versione più pacifica, in particolare il sit in. È importante far vedere che siamo in tant* e che la situazione che stiamo contestando non ci soddisfa, perché permette di mostrare che siamo in disaccordo.
Come sono le manifestazioni a Lugano, come sono quelle a Berna?
Le differenze nelle manifestazioni nella città di Lugano, in Ticino rispetto a quelle nella capitale della Svizzera riguardano principalmente l’abitudine che partecipant* e polizia hanno di questo tipo di eventi. Spesso non c’è grande affluenza poiché si suddiviso sulle due città principali – Lugano e Bellinzona – dividendo un po’ le forze. Le persone però si conoscono tra loro e ciò permette di capire determinate dinamiche e di anticipare situazioni non sicure per chi manifesta. Olivia mi dice di avere l’impressione che in Ticino le leggi vengono rispettate maggiormente, anche durante le manifestazioni. Il problema secondo Olivia è che le forze dell’ordine, non abituate alle manifestazioni e alla gente che si oppone allo status quo, sono più violente e agiscono con metodi fuori misura.
Invece a Berna esiste una specie di “tradizione”, ogni settimana la popolazione si riunisce per una o un’altra questione e manifesta per le strade.
Olivia preferisce l’ambiente delle manifestazioni bernesi, perché più grandi, più rumorosi e più accettate. Le manifestazioni rappresentano per lei un momento nel quale il movimento della sinistra, gran parte dell’attivismo politico e delle organizzazioni si riuniscono e lottano insieme con uno spirito comunitario, per prendere spazio in strada e opporsi alle ingiustizie. Continua entusiasta a descrivere le emozioni che le provocano questo tipo di eventi: “un sentimento bellissimo, di potenza e di empowerment”. È commovente, e conclude: “manifestare mi da forza!”.
Che impatto positivo hanno questi eventi e luoghi sul resto della popolazione?
Olivia è venuta a conoscenza della creazione e rafforzamento di molti collettivi e gruppi femministi a seguito della grande mobilitazione in tutti i cantoni e principali città per lo sciopero femminista. Secondo lei ciò è dovuto alla mobilitazione nazionale nel 2019.
Sicuramente quello che è cambiato dopo la manifestazione femminista nel 2019 è anche la visibilità di questi gruppi, la forza e la voglia di farlo vedere alla popolazione. La voglia di dire “guardate noi qua ci siamo, noi qua prendiamo lo spazio”, questo coraggio è nuovo e viene da questa manifestazione. Per Olivia manifestare permette di far conoscere delle realtà differenti rispetto a quello che è considerato come il sistema attuale e mobilitare così altre persone per la causa femministe.
Publication Date:
18 May 2022
Disciplines:
Authors:
Olivia Buchli, Febe Tognina